sabato 3 dicembre 2011

Il vizio del gioco


Erano le diciannove e trenta minuti e per  Duncan si concludeva una lunga e faticosa giornata di lavoro, aggravata in più dal fatto che poche ore prima aveva avuto una brutta litigata con Omar, il panettiere, che accusa Duncan di rubargli i clienti. Duncan, infatti, lavorava nel supermercato di fronte alla panetteria di Omar proprio nel reparto con i suoi stessi articoli, ma a differenza sua era molto più affabile e sapeva attirarsi i clienti.

Il mattino seguente, il proprietario del supermercato, dopo circa mezz’ora dall’apertura, insospettito dall’insolito ritardo di Duncan cerca di rintracciarlo ma inutilmente … Duncan non risponde. Dopo aver cercato di richiamarlo per un po’ di volte inizia a chiedere informazioni ai colleghi di Duncan e quindi ai suoi commessi.
La maggior parte di loro afferma di non sapere nulla ma un piccolo gruppetto gli conferma di averlo visto litigare, la sera precedente, con Omar con insulti molto pesanti e qualche spintone. In seguito il datore di lavoro si precipita alla stazione di polizia di Memphis per denunciare l’accaduto e segnalare Omar al commissario.
Questi invia immediatamente un gruppo di poliziotti nella casa di Duncan, una villetta bifamiliare coabitata da una coppia di anziani. Arrivati sul luogo i poliziotti suonano ripetutamente alla porta, ed ecco che dal balcone del piano superiore si affaccia un vecchietto che dice loro di smettere di suonare perché Duncan non è in casa visto che la sera non è tornato.
Decidono cosi di scassinare la porta di ingresso ma, come previsto, nell’appartamento non c’è nessuno.
Le parole del vecchietto hanno conferma visto che il letto non è sfatto ed è tutto in perfetto ordine. Trovano però un indizio utile: un biglietto d’ingresso al casinò di New Orleans .
Salgono al piano di sopra per interrogare la coppia di anziani, e l’agente Edward Jefferson, che guida la spedizione, inizia a fare delle domande: ”Quando è stata l’ultima volta che avete visto il signor Duncan?”
Il vecchietto rispose: ”Ieri mattina, verso le otto, come al solito si sveglia mettendo in moto la sua macchina sgangherata “
Edward: ”Sapete qualcosa riguardo al casinò di New Orleans, Duncan non ne parlava mai?”
Subito il vecchietto rispose negativamente ma poi la moglie intervenne: ”Da un po’ di tempo a questa parte, circa tre settimane, degli uomini in smoking lo venivano a prendere puntualmente ogni sera con della macchine sportive.”
Per Edward questo poteva bastare, saluta gli anziani e con i suoi uomini torna alla centrale. Appena Edward appoggia il suo sedere sulla poltrona comoda del suo ufficio, non fece in tempo ad accendere una sigaretta che subito gli arrivò una telefonata.
Al telefono la voce spaventata di un ragazzo molto giovane: ”Ero qui ad allenarmi come faccio ogni mattina, da un po’ di mesi, per perdere peso lungo le rive del fiume Mississipi quando , a causa di una fitta alla pancia mi accorsi che dovevo urinare. Cercai allora un posto un po’ nascosto e mi trovai di fronte l’agghiacciante immagine di un cadavere riverso a terra in una pozza di sangue con un colpo di arma da fuoco alla testa, sono terrorizzato, venite subito”.
Tre volanti si fiondarono nel luogo segnalato … non vi erano dubbi: occhi chiari, capelli   arancioni e lentiggini, abito elegante; si trattava proprio del corpo di Duncan.
Intanto alla centrale l’agente Steve stava interrogando Omar che continuava a giurare e spergiurare di non centrare nulla con l’accaduto: ”È vero, non mi è mai stato simpatico e ci litigavo spesso ma, non sono io l’assassino e non l’avrei mai ucciso.”
Sul luogo del delitto intanto, cominciano le indagini con gli uomini della scientifica, ma tutto per fortuna si risolve nell’arco di poco tempo, visto che, poco più in là del cadavere, viene rinvenuta la pistola.
Duncan era stato ucciso con un colpo di pistola alla testa, però, il proiettile non si fermò nel cranio e fuoriuscì. Le impronte rilevate sulla pistola non appartenevano a Omar, bensì al proprietario del casinò .
Omar  fu scagionato e al suo posto fu arrestato Orazio La Spezia,  il proprietario del casinò.


Steve iniziò a interrogare Orazio che era seduto su una sedia di ferro con molte luci puntate e degli appositi apparecchi che registravano la conversazione. Orazio estrasse  dal  suo giubbotto una sigaretta e cominciò a fumare.
Steve: ”Non puoi negare, la pistola è intestata  a te, le impronte sono tue, la domanda da porsi è perché, perché lo hai fatto.”
Orazio rispose: ”Quel picciotto mi doveva dei soldi, non era molto fortunato e perdeva sempre, così finiti i soldi, preso dal gioco, si indebitò con me; ma poi sapendo che non mi poteva più restituire i soldi è sparito per un po’ di tempo, così uscito dal lavoro lo abbiamo preso, gli abbiamo sparato e lo abbiamo portato sulla riva del fiume.”
Orazio fece i nomi di una decina di uomini che avevano collaborato nell’ omicidio.
Vennero tutti arrestati, il casinò chiuso e il caso concluso.



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