mercoledì 30 novembre 2011

Devil e le scarpe insanguinate


Un giorno d’autunno, c’era la nebbia e non si vedeva niente.
Non c’era quasi nessuno in giro per il paese, solo nei ristoranti c’era qualcuno che mangiava.


Quando tutta la gente era andata via dal ristorante rimasero solo le cameriere e i cuochi. Di nascosto entrò una persona nella cucina del ristorante e con un coltello di cucina ammazzò il cuoco.
Le cameriere andarono in cucina e lo videro per terra, allora chiamarono l’investigatore che era un uomo a cui piaceva giocare a carte, era simpatico e aveva una caratteristica: aveva un orecchio più grande dell’altro.
Cominciò a fare l’indagine. Andò nella sala grande del ristorante e vide che c’era un portafoglio per terra e lui allora cominciò a pensare che l’assassino era scappato in fretta. Prese il nome che c’era sulla carta d’identità. Andarono dalla polizia e guardarono chi era quella persona. La polizia gli diede la via dove abitava e l‘investigatore Devil andò fino a casa sua. Arrivato a casa sua gli fece delle domande su dove era andato quella sera. Devil capendo che non era stato lui l’assassino gli restituì il portafoglio.
Andò di nuovo nel ristorante e vide che c’erano le impronte delle scarpe dell’assassino e Devil riuscì a capire che l’uomo aveva un 46 di piede ed era alto. Andando dalla polizia esaminò le registrazioni della telecamera esterna del ristorante: guardò le macchine che passavano e passò una macchina con un uomo molto alto e guardando dentro il finestrino vide che era senza scarpe. Allora l’investigatore prese la targa, trovò l’indirizzo e andò a vedere nel cassonetto davanti a casa del sospettato se c’erano delle scarpe. Guardò nel vetro e c’erano due paia di scarpe macchiate di sangue. Entrò in casa, lo arrestò e trovò una maglietta piena di sangue e capì che l’assassino era lui.  Gli fece analizzare il DNA e risultò che il sangue era il suo.  

lunedì 28 novembre 2011

La signorina Viola.


"Aiuto! Qualcuno mi aiuti, c'è del sangue per la scala!", disse la cameriera di casa Cordini, che senza indugio chiamò la polizia.
Al commissariato squillò il telefono, a cui rispose l'agente Francis, e dall'altra parte della cornetta c'era la vecchia Suzy, che piena di paura chiedeva aiuto. L'agente Francis si precipitò in Via delle Peonie a Roma, e Suzy era sconvolta. L'agente le disse: "Mi dispiace signora, ma dobbiamo scortarla in commissariato". Arrivati sul posto, iniziò l'interrogatorio:
- Signora, mi dica, che tipo era la signorina Viola Cordini?
- Non c'è bisogno che mi diciate che il sangue era il suo...
- Sì signora, è stata trovata con una pallottola nel petto, nella sua camera da letto morta circa da dodici ore.
- Era una brava donna, tra me e lei c'era un rapporto speciale, lavoravo per i suoi genitori da quando era ancora in fasce, e quando a 17 anni sono morti in un incidente d'auto... le sono rimasta solo io, e da quel momento sono stata come una nonna, non aveva una famiglia, un fidanzato, aveva solo me.
- Lei è sicura che non vedesse altre persone oltre a lei?
- Sì certo, viveva con i soldi dell'eredità, quindi non aveva neppure bisogno di lavorare. Io vivevo con lei, dopo aver finito la scuola non ha più voluto vedere nessuno, purtroppo si era chiusa in casa, ha passato 15 anni senza qualcuno che le stesse vicino, negli ultimi tempi neppure io le parlavo più.
- Non ha notato nulla di strano negli ultimi giorni?
-Veramente una settimana fa, di notte ho sentito qualcuno aprire la porta d'ingresso, ma quando ho chiesto alla signorina, mi ha detto che lei non aveva sentito nulla, diceva che erano i vicini che facevano chiasso.
- Signora Suzy, dall'autopsia risulta che la signorina aspettasse un figlio da quattro mesi, lei ne era a conoscenza?
- Assolutamente no... io non me lo spiego agente, non è mai più uscita da casa, io mi occupavo di tutto, sono sicura che non ricevesse nessuno in casa, è impossibile!
- Nulla è impossibile, forse si frequentava di nascosto con qualcuno del liceo. Però per sicurezza interrogherò anche i vicini.
A quanto pare nessuno aveva notato nulla, la signorina non vedeva nessuno che non fosse la domestica, ma casa Cordini era piena di telecamere ovunque, anche se all'insaputa della domestica e della padrona. L'agente Francis voleva vederci chiaro, qualcuno era entrato in quella casa, e a lui spettava il compito di scoprire chi. Dal nastro della telecamera del soggiorno si vedeva chiaramente che la signorina Viola aveva aperto la porta ad un uomo che sembrava averla baciata. La telecamera delle scale li aveva ripresi salire di corsa i gradini, fino alla camera da letto, dove la signora Suzy bussò poco dopo, forse per chiedere del rumore della porta. Poi verso le quattro del mattino quell'uomo uscì dalla casa, e in un attimo svanì senza lasciare traccia. Due giorni dopo quell'uomo tornò alle 12.43, ma lei gli disse che doveva parlargli, e lo trascinò nei sotterranei, dove non c'erano telecamere. Alle 5.30 del mattino quell'uomo uscì e la signorina Viola salì le scale con aria disperata. Il giorno dopo, mentre la signora Suzy era in viaggio per Pisa per andare a trovare sua sorella, quell'uomo tornò, e stavolta aveva una pistola: era stato lui ad uccidere Viola, l'aveva uccisa per le scale, ma, facendo attenzione a non lasciare tracce, trascinò il cadavere nella camera da letto e fuggì. Quell'uomo era Simon Tiler, un vecchio compagno del liceo, l'unico con cui si vedeva segretamente, e lui non voleva avere un figlio.
A quel punto tutto iniziò ad essere chiaro, lui era l'assassino. Francis scovò il suo indirizzo e dopo lunghe ricerche lo trovò mentre tentava di fuggire in America. Tiler venne arrestato, e Francis aveva finalmente chiuso questo caso.

domenica 27 novembre 2011

Suicidio Misterioso


Era un piovoso pomeriggio di novembre. Tania Wilson stava passeggiando per le noiose vie di Londra, sotto un ombrellino color cenere. Pensava alla lettera che le era arrivata pochi giorni prima da una sua cara amica. Il contenuto l’aveva davvero sconcertata.

15 Novembre 1980, Cardiff
Cara Tania,
Ti scrivo per informarti che sto per uccidermi. Non voglio che tu ti spaventi. Ho un buon motivo. Ma, vedi, non voglio dirtelo ora. Sarebbe troppo complicato da spiegare. Segui le istruzioni scritte nell’altro foglio e capirai tutto. Sei stata la migliore amica del mondo.
Con affetto, Olivia

Tania aveva paura. Ma qualcosa dentro di lei le diceva di andare avanti. Il foglio allegato alla lettera di Olivia diceva: “Prendi il treno delle 17:00 alla Railway Station. Il biglietto è nella busta”. Tania si sedette sulla panchina della stazione e aspettò, tenendo in mano il biglietto. Il nome della destinazione era stato cancellato. Preoccupata, si diresse verso il banco delle informazioni e chiese dove era diretto il treno delle 17:00. La signora rise.
“Mi dispiace, signorina, ma nessun treno passa alle 17:00. Il prossimo è alle 17:30”
Tania guardò l’orologio. Erano le 16:45 e un treno era appena partito. Sconcertata, ritornò alla panchina. Pensò di ritornare indietro e dimenticare questa storia, eppure, alle 17:00 in punto, un treno si fermò alla stazione. Era un treno nero, il cui fumo avvolse l’intera stazione. Di colpo, intorno a lei le persone scomparvero come fantasmi. Le porte del treno si aprirono, ma non uscì nessuno. Si udì il suono distante della campana e la voce del capostazione dire: “In carrozza! In carrozza!”. Eppure, Tania non lo vedeva. Deglutì e, senza pensarci troppo, salì svelta sul treno, entrando nel primo scompartimento che vide. La locomotiva fischiò e il treno partì, verso una meta sconosciuta.

Tania scostò le tende per vedere fuori dal finestrino, ma i vetri erano oscurati. La ragazza sospirò. Il suo cuore batteva a mille per la paura, ma oramai era troppo tardi per tornare indietro. Si appoggiò al sedile che, stranamente, era molto comodo, e osservò il vaso di papaveri sul tavolino davanti a sé. Benché quel treno fosse tremendamente spaventoso, doveva ammettere che l’arredamento era di un certo livello. Lo scompartimento in cui era entrata non era molto grande, ma l’atmosfera era piacevole. C’erano sei comodi sedili, un tavolino, un finestrino e un vaso di papaveri rossi. Stava quasi per appisolarsi, quando un uomo entrò nello scompartimento.
“Biglietto, prego”.
Tania lo osservò. Era un uomo robusto con addosso un uniforme blu. Il cappello gli oscurava il viso, conferendogli un’aria spettale. La ragazza gli porse il biglietto e lui lo pinzò.
“Si goda il viaggio...” aggiunse l’uomo, uscendo dallo scompartimento.
Tania avrebbe tanto voluto sapere dove stava andando quel treno. Ma non c’era bisogno di preoccuparsi troppo. Quel posto era così...rilassante....
.....
“....Ma....Dove sono? Che mi è successo?”
Il treno era fermo. Lo scompartimento era buio. Non c’era più la luce del sole che filtrava dal finestrino oscurato. Era notte. Si era addormentata. Ma come aveva fatto a non sentire il treno che si  fermava? Non era stato un sonno naturale. Il suo sguardo cadde sul vaso di papaveri. Ora capiva. Era stata colpa loro e del loro potere soporifero. Probabilmente erano stati messi lì apposta.

Tania recuperò il suo ombrello e scese dal treno, senza farselo ripetere due volte. Non era in una stazione. Era di fronte a un bar, in mezzo alla campagna. Quando si voltò, il treno non c’era più. Un brivido le percorse la schiena. Il foglio delle istruzioni di Olivia diceva solamente “Entra”. Tania si strinse nel suo impermeabile e respirò profondamente l’aria umida. Il bar era vuoto. Un pianista suonava malinconicamente e il barista puliva i bicchieri. Tania, incerta sul da farsi, consultò il foglio.

“Ordina un cappuccino”.

Mentre Tania era seduta al tavolo di fronte alla sua tazza fumante chiese al barista:
“Posso sapere dove mi trovo?”
“È talmente tanto tempo che sono rinchiuso qui a fare la stessa cosa che non mi ricordo più nemmeno io”
“Sa, non mi è d’aiuto”
“La vita è piena di delusioni”
Tania non disse più  niente. Sembrava che tutti si fossero messi d’accordo per farla rimanere all’oscuro di qualcosa. Era stato uno sbaglio partire. Quando finì il cappuccino, notò un particolare davvero strano. In fondo alla tazza c’era un foglietto ripiegato imbevuto di caffè. Tania lo prese e lo aprì.

“L’assassino giocava nel prato, il ragazzino saltellava beato, uno in mano aveva il coltello, l’altro aveva un fiore all’occhiello, il tramonto sorrideva, l’alba di sangue si tingeva”.

Il suo cuore perse un battito. Quella filastrocca gliela cantava sempre Olivia per farla spaventare. Quelle parole apparentemente senza senso nascondevano un significato crudele. Due amici improbabili, un assassino e un ragazzo, giocano in un prato, ancora bambini. Crescono insieme e, a un certo punto, il ragazzo decide di sposarsi e si prepara per il giorno dopo. Ma, mentre alla sera lui e l’assassino ridono e scherzano, all’alba del giorno delle nozze il ragazzo è morto, ucciso dall’amico.
Un orribile capogiro la travolse. Cosa significava tutto questo? Perché Olivia voleva farle fare questo spaventoso viaggio? Voleva farle capire qualcosa, sicuramente. Un pensiero raccapricciante le attraversò la mente, ma lei lo cacciò via, infilando il foglio bagnato di caffè in tasca e uscendo da quel posto che le faceva accapponare la pelle. Tania continuava a pensare che sarebbe dovuta restare a casa, insieme al suo gatto Napoleone. Che cosa l’aveva spinta a partire? Semplicemente voleva sapere perché l’amica si era uccisa. E l’indizio che aveva appena trovato non l’aveva aiutata a tranquillizzarsi. Si sentiva un macigno sullo stomaco. Il suo viso grondava sudore. Prese con mano tremante il foglio delle istruzioni e lesse il prossimo passo.

“Spero di averti aiutato a capire qualcosa....se vuoi tutta la verità, vai nel retro del bar e apri l’armadietto numero 018. Troverai cinque penny e un foglietto. Non leggere il foglietto. Aspetta fuori dal bar finché non si ferma un taxi. Dagli i cinque penny e mostragli il foglietto. Ti porterà nel luogo dove mi sono uccisa. E da lì dovrai cavartela da sola. Se hai troppa paura aspetta fino alle 23:00. Il treno ti riporterà a Londra.”

Il foglio terminava con queste parole. Tania accartocciò il foglio e lo gettò per terra. Di colpo la scrittura di Olivia le dava fastidio. Corse dietro al bar e aprì una porticina. Si ritrovò in una stanza che odorava di muffa, con cinque armadietti color verde militare allineati sulla sinistra. Tania cercò il numero 018 e lo aprì con facilità. Prese i cinque penny e il foglietto e uscì, aspettando il taxi che le avrebbe svelato la verità. Per un attimo fu tentata di rinunciare. Preferiva non sapere perché Olivia si era suicidata. Forse avrebbe dovuto ritornare a casa. Fece tintinnare i cinque penny nella mano. Il foglietto era impolverato, ripiegato moltissime volte. Senza che se ne accorgesse, il tempo passò alla velocità della luce, e il clacson del taxi la risvegliò dai suoi pensieri. Tania non sapeva cosa fare. Avrebbe tanto voluto porre fine a tutto, ma la curiosità era troppo forte. “So già che me ne pentirò”.

Il tassista aveva la stessa aria spettrale del controllore sul treno. Il cappello che portava gli oscurava il viso. Tania si sedette sul sedile posteriore e gli porse i cinque penny e il foglietto. Lui lo lesse, sorrise e partì. La campagna che scorreva nel finestrino le ricordava quella gallese, e questo fu l’unico fatto normale della giornata. Oliva abitava a Cardiff, quindi, se doveva essersi suicidata in un posto diverso da casa sua, non poteva essere molto lontano dalla città.
Il taxi si fermò davanti al cancello di una villa. Tania avrebbe voluto dire al tassista di tornare indietro, di riportarla a casa. Non voleva entrare lì dentro. Ma il taxi si allontanò prima che lei potesse parlare, lasciando una scia di polvere. Tania fece un lungo sospiro, si strinse nell’impermeabile ed entrò nel giardino della villa. Chissà perché Olivia aveva scelto un posto così per uccidersi. Sapeva che l’amica apparteneva a una famiglia di nobili origini e che quasi tutte le ville della campagna gallese erano di sua proprietà, ma non riusciva comunque a raccapezzarsi.
Le stanze della villa erano innumerevoli. Chissà in quale di quelle avrebbe trovato il corpo dell’amica. Giunse in una specie di sala da tè. C’erano cinque tavolini rotondi con una teiera e quattro tazzine ciascuno. Le tende gialle conferivano un’atmosfera molto inglese. Tania passeggiò nella stanza immaginandosi a bere un tè insieme alla regina, indossando un cappello stravagante, quando, di colpo, si bloccò con un’espressione inorridita sul volto. La sua amica Olivia giaceva sotto un tavolino con un coltello piantato nel ventre, in un lago di sangue.
Tania indietreggiò. Gli occhi le pizzicavano.
“....Perché l’hai fatto....Perché.....”
Un altro terribile capogiro la assalì. Si appoggiò a una sedia e si sedette. Voleva chiudere gli occhi, smettere di guardare, ma non riusciva a distogliere lo sguardo dal cadavere. Tania si sentiva male. Non voleva avvicinarsi a Olivia, ma dovette farlo, perché notò che le sue mani stringevano un foglietto. Tremando, lo prese e, piangendo, lo lesse.

“Eccoti qua, finalmente mi hai trovato. Devi volermi molto bene se sei arrivata fin qui. Ora posso dirti il perché del mio suicidio. Sai, è complicato. Non volevo scrivertelo nella lettera per un semplice motivo. Sapendolo, non saresti venuta fin qua, non avresti trovato il mio corpo, saresti rimasta a casa tua con Napoleone. Pensandoci, avresti potuto farlo lo stesso. Ma, conoscendoti, non l’avresti fatto. Infatti sei qua. Non voglio perdermi in chiacchiere, quindi ti spiego tutto. Sai, il colpevole è una persona che conosci molto bene.... Ti ricordi la filastrocca dell’assassino che ti faceva sempre spaventare? Beh, devo dire che in qualche strano modo mi sento come il ragazzo. E, toh, guarda che coincidenza, qualche anno fa mi è capitata la stessa cosa che è capitata a lui, più o meno. Non nel senso che sono stata uccisa, nel senso che Alvin ha chiesto di sposarmi. Lo conosci Alvin vero? È lo stesso ragazzo che, per uno strano motivo, mi ha lasciato il giorno prima del nostro matrimonio. Non che ci sia rimasta male. Poi, qualche settimana fa, ho scoperto finalmente il perché della sua improvvisa decisione. Una certa Tania Wilson lo aveva convinto a lasciarmi perché, secondo lei, non era l’uomo giusto per me. Una certa Tania Wilson ha dato retta ai capricci di sua sorella che voleva sposarlo, e, grazie a lei, c’è riuscita. Una certa Tania Wilson avrebbe dovuto pensare alla gioia della sua amica Olivia invece che all’invidia di sua sorella. Una certa Tania Wilson mi ha pugnalato alle spalle. Al solo pensiero che la mia migliore amica mi avesse fatto questo, non ho retto più. Non volevo più essere amica di una persona così falsa. Tutta la mia felicità è andata persa, e non vale più la pena di vivere nel dolore. Bene, addio, allora. Spero che tu ti senta in colpa.
Grazie, amica.”

Tania lasciò cadere il foglio. Si mise le mani sul viso e indietreggiò, spaventata.
“Sono....è colpa.....solo mia!!!”
Si mise a correre, cercando l’uscita, cercando la via per fuggire da quel luogo, cercando di tornare a casa sua. Le lacrime la rendevano cieca, correva senza sapere dove andava, seguiva la paura, i sensi di colpa la tormentavano. Si perse nel labirinto delle stanze, non riusciva a uscire dalla villa. Finché, improvvisamente, vide una luce provenire dal portone aperto. Corse verso il sole, ma i suoi passi erano sempre più pesanti, il portone si allontanava. La luce invase il corridoio e l’accecò....

DRRRRRRRRRRRRRRIIIIIIIIIIIINNNNNNN!!!!!!!!!!!!

Il trillo fastidioso pervase la mente di Tania. Il miagolio di Napoleone, la macchina del caffè che si attivava, un fringuello che cinguettava....
Tania aprì gli occhi. Era nella sua camera. Fuori aveva smesso di piovere. Era mattina.
Era stato un sogno. Solo un sogno. Non era mai salita su spaventosi treni, non aveva mai bevuto cappuccini in bar sperduti, non era mai entrata in ville paurose, ma, soprattutto, non aveva ricevuto nessuna lettera, non aveva nessuna sorella innamorata del marito di Olivia, e Olivia non si era suicidata per colpa sua. Tania rise. Incubi assurdi, capogiri, macigni sullo stomaco....chiari segni di un’indigestione. Napoleone continuava a miagolare.
“Sì, lo so, hai fame!” 

La regione adriatica (seconda parte)





















La regione adriatica (prima parte)





















Delitto all’hotel


Erano le 9.30 a Londra, era una mattina nebbiosa ed al “Gran Hotel Palace” sembrava tutto normale quando un urlo atroce svegliò tutto l’albergo, veniva dal terzo piano, dalla stanza 46. Una cameriera, intenta a fare le pulizie nella stanza, si ritrova davanti, sul letto, un cadavere.
Subito arrivò l’ispettore Qeen Mcflir di Scotland Yard.
Il cadavere era sul letto in un lago di sangue e con un coltello conficcato nello stomaco.

Mcflir cercava dappertutto, dopo aver ispezionato il cadavere, ispezionò anche la stanza, e notò un piccolo oggetto luccicante, ma non ci fece caso e se ne andò lasciandolo nella stanza. L’ispettore non aveva uno straccio di indizio, scoprì solamente che la vittima si chiamava Ramon Clier e che era sposato.
Il giorno successivo Mcflir decise di andare ad interrogare la moglie della vittima a Liverpool.
L’ispettore chiese alla moglie: ”Sa per caso se suo marito aveva dei nemici?”.
La moglie, di nome Jane, rispose: ”Che io sappia no”.
Mcflir domandò: “Cosa ci faceva a Londra suo marito?”.
Jane ribattè: “Era a Londra per lavoro”.
L’ispettore fece moltissime domande e poi la lasciò andare. Mcflir scoprì ben presto che Ramon chiedeva prestiti di denaro al suo migliore amico Daniel e non glieli restituiva.
L’ispettore andò allora a casa di Daniel per interrogarlo ma lui non c’era. Mcflir andò alla sede centrale della società dove lavorava la vittima per fare delle indagini: “Sono l’ispettore Qeen Mcflir di Scotland Yard e volevo sapere su un certo Ramon Clier, lavora qui da voi?”.
Ed un segretario disse: “Il signor Clier lavorava da noi, ma è stato licenziato due settimane fa per cattiva condotta”.
L’ispettore lo ringraziò e si precipitò a casa di Daniel. Questa volta c’era ed aprì la porta senza problemi: “Salve sono Qeen Mcflir, si sieda, devo parlarle riguardo alla morte di Ramon Clier”.
“Come la morte!!!”
“Sì la morte, causata da lei signore”.
“Cosa sta dicendo, io non ho ucciso nessuno”.
“Mi dispiace ma ci sono troppe prove contro di lei, il signor Clier veniva a chiederle dei prestiti perché era stato licenziato, lei glieli ha dati ma lui non glieli ha restituiti e lei l’ha ucciso”.
Daniel disse: “Non è vero!!!”.
Mcflir sbatté la sua larga mano sul tavolo e disse al suo collega Rowan: “Portalo via e fallo marcire in carcere”.
L’ispettore però andò ancora ad interrogare il vicino di stanza e questo gli disse che quella sera era entrata nella camera 46 una donna di mezza età con i capelli rossi, niente di più. La descrizione poteva combaciare con quella della moglie di Ramon, così Mcflir tornò ad interrogarla e notò che l’anello che portava al dito non era completo, ma mancava un brillantino.
L’ispettore capì tutto e tornò nella stanza 46, trovò il brillante, lo prese e tornò a casa della moglie. Mcflir disse:
“Scusi questo brillante dovrebbe essere suo”.
“Sì è proprio mio”.

“Esatto lei è entrata nella stanza, ha avuto una lite con suo marito, l’ha ucciso ed è scappata a Liverpool”.
La moglie scoppiò in lacrime: “È vero, pensavo che lui mi tradisse, così l’ho ucciso, invece lui era solo andato a cercare un nuovo lavoro”.
La signora venne arrestata mentre Daniel fu scagionato ed il caso era chiuso.

La regione francese (seconda parte)