Un lampione straordinario.
Harrison uscì dal ristorante. Erano le nove di sera. L’aria era nebbiosa, difficile da respirare. Le luci dei lampioni erano pallide, la luna era invisibile. Si mise le mani in tasca, camminando lentamente davanti all’ingresso, incerto sul da farsi. Era sicuro che il primo passo fosse identificare i componenti della banda degli Sharks. Prese il suo walkie - talkie e lo accese. Nessun messaggio.
“Qui agente 76. Messaggio per reparto identikit. Mi servono informazioni su una banda di ricattatori, i cosiddetti Sharks. Sono in perlustrazione del quartiere, appena possibile contattatemi. Passo e chiudo”.
Si calcò il cappello sul viso e salì sul motorino giallo parcheggiato malamente. Il ronzio del motore squarciava il silenzio ovattato che avvolgeva le strade. I vicoli più stretti erano preda del buio, le vie deserte parevano l’immagine di una città fantasma. Il quartiere intero era addormentato, ma quel sonno profondo nascondeva un assassino. Harrison cercava qualcosa, ma non sapeva cosa. Una stranezza, un dettaglio particolare.....un indizio, di qualunque genere.
Sapeva per esperienza che le bande erano difficili da beccare, la strada era la loro casa, sapevano correre, nascondersi. Erano veloci e furbi come gatti randagi. Volevano farsi cercare, ma non si facevano trovare. Erano figli della notte, facevano parte della città, i muri e i tetti erano loro fratelli.
Nella sua tasca si udì un BIP BIP! Harrison accostò a un marciapiede ed estrasse il walkie talkie.
“Qui reparto identikit. Messaggio per agente 76. Abbiamo l’indirizzo del luogo dove gli Sharks hanno operato l’ultima volta. Via Jamie Hampson numero 129. Rimanga in attesa di altre informazioni. Passo e chiudo”.
Bene, ottima notizia. Conosceva Via Jamie Hampson per i suoi numerosi ristoranti di classe. Aveva una pista. Accelerò vigorosamente, diretto verso la sua meta.
Quando svoltò l’ultima curva, frenò bruscamente. Era abituato a vedere quella via sotto un’altra prospettiva. Colorata, gioiosa, piena di vita. Adesso vedeva solo un’interminabile strada grigia, illuminata dalla luce spettrale e soffusa dalla nebbia di un solo lampione. Tirò un sospiro e andò avanti, cercando il numero 129. Il numero 128 apparteneva a un negozietto di bigiotteria, e l’edificio seguente era un ristorante di lusso. Proprio come immaginava. Appoggiò il motorino al lampione che, stranamente, era esattamente in mezzo ai due edifici e si avviò verso le scale che portavano all’ingresso. Salito il primo scalino, si bloccò. Lesse il numero sulla mattonella di ceramica appesa accanto alla porta. 130. No. Impossibile. Doveva esserci un errore. Forse aveva letto male il numero del negozietto di bigiotteria. Eppure, la mattonella precedente diceva proprio “128”. Perplesso, tornò al motorino, cercando il walkie talkie nella tasca per chiamare la centrale di polizia e dire che il reparto identikit aveva sbagliato a dargli l’indirizzo. Era assurdo. Il numero 129 era inesistente.
Bastarono cinque secondi e tre cifre per farlo ricredere. Una mattonella sbreccata appesa al lampione diceva “129”. Il walkie talkie gli cadde di mano. Ancora più impossibile. Ancora più assurdo. Il suo sguardo si spostò sulla pallida fiamma tremolante. Era indubbiamente un lampione di magnifica fattura, con arabeschi e sculture che lo decoravano. Ma in quarant’anni di vita a Los Angeles non lo aveva mai notato, forse perché di giorno non serviva. Spaventato, si avvicinò, cercando degli indizi. Uno dei vetri era rotto, e per terra c’erano ancora i frammenti. Estrasse dalla tasca interna del cappotto color ocra un vasetto di polvere bianca e uno spolverino. Non trovò una sola impronta su tutto il lampione. Si chiese per quale motivo gli Sharks avrebbero dovuto rompere il vetro di un lampione. Più che l’operato di una banda di ricattatori, sembrava la birichinata di qualche ragazzino.
Mentre Harrison rifletteva, si udì un altro BIP BIP! dalla sua tasca.
“Qui reparto identikit. Messaggio per agente 76. Novità? Passo”.
“Qui agente 76. Nulla di nuovo. Avete altre informazioni? Passo”.
“Abbiamo altri dati riguardo l’ultimo operato degli Sharks. È sul posto al momento? Passo”
“Sì, ma l’indirizzo che mi avete dato appartiene a un lampione. È normale? Passo”
“Sappiamo solo che la vittima del ricatto, la cosiddetta Angela Sullivan, era la proprietaria di una ditta che vendeva lampioni. Dopo varie minacce, la poveretta è stata costretta ad andarsene, abbandonando la ditta. In questo momento starà sorseggiando un tè da sua sorella a Edimburgo. Evidentemente il lampione di cui parla lei è stato fabbricato dalla sua ditta. La vecchia casa di Angela era poco distante da dove si trova lei. Se le può essere utile, abbiamo l’indirizzo. Via Jamie Hampson numero 145, quarto piano. Per il momento è tutto. Passo e chiudo”.
Harrison rimase con lo sguardo fisso sul lampione. Possibile che quell’oggetto fosse talmente importante da attribuirgli un numero civico? Evidentemente sì. Cercò di ricostruire l’avvenimento in base a quello che sapeva. Angela Sullivan vendeva lampioni in una ricca ditta. Gli Sharks la ricattavano da tempo, ma lei non voleva saperne di pagare. Le minacce andavano avanti, finché lei ha deciso di andarsene da sua sorella a Edimburgo, abbandonando la ditta. Il lampione di Via Jamie Hampson doveva essere molto importante per Angela, tant’è che gli Sharks hanno deciso di romperlo. Quella doveva essere stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Dopo quell’ultima minaccia, Angela ha deciso di partire. Mancavano ancora vari pezzi, ma la storia doveva essere stata questa.
Dato che non aveva niente di meglio da fare, decise di andare a dare un’occhiata alla vecchia casa di Angela. Risalì sul motorino e guardò l’orologio: 22:09.
Percorse lentamente la via, cercando il numero 145. Si augurò che l’indirizzo non fosse di nuovo una fregatura, ma non fu così. Il numero 145 era un palazzo alto e striminzito, schiacciato tra un ristorante e una libreria. Si avvicinò al citofono. C’erano cinque campanelli, ma nessuno apparteneva a un cognome. Quel condominio era completamente disabitato. La porta era chiusa, ma non ci volle molto per aprirla con il passepartout. I cardini cigolarono. Harrison accese l’accendino per fare luce. Da una parte si vedevano le scale e dall’altra c’era un ascensore, ma era spento.
Salì velocemente le scale fino al quarto piano. Sempre con il passepartout aprì la porta. Dell’appartamento non restava molto, solo un divano, un tavolo e qualche mobile. Harrison entrò, e si mise a cercare una candela. La trovò nella camera da letto, o meglio, quel che ne restava. Ad arredarla c’erano solo una scrivania vuota e un letto senza materasso. Si accese una sigaretta e si appoggiò alla scrivania, ragionando sul prossimo passo. Il suo sguardo cadde su un libro sgualcito per terra. Lo raccolse e lo aprì. La scrittura non era quella di un libro stampato, sembrava che fosse stato scritto manualmente. Era indubbiamente una scrittura femminile. Era un diario. Il diario di Angela Sullivan.
Harrison prese una delle ultime lettere e la lesse.
Caro Diario, Mercoledì 23 Novembre
Ore 19:45
Oggi ho realizzato il mio sogno. Finalmente la mia opera è finita. È il più bel lampione che io abbia mai creato. Domani andrò dal sindaco e gli esporrò la mia idea. Via Jamie Hampson sarà famosa in tutto il mondo. Spero che accetti.
Angela si riferiva sicuramente al lampione arabescato con il numero 129. L’idea da esporre al sindaco era quella di rendere la sua opera un monumento pubblico, e di valorizzarla attribuendogli un numero civico, attirando il mondo intero su Via Jamie Hampson.
La data risaliva solamente a qualche settimana prima. Ecco perché non aveva mai visto quel lampione. Incuriosito, lesse l’ultima lettera.
Caro Diario, Sabato 3 Dicembre
Ore 14:57
Ho paura. Mi perseguitano. Vogliono i miei soldi. Dopo che il mio lampione è diventato un monumento famoso, una banda di ricattatori non mi molla. Si chiamano Sharks. Sono dieci. Hanno assunto da poco un nuovo membro, è giovane, ma non sono ancora riuscita a vederlo. Ho visto invece altri due. Sono orribili, uno è rasato ed è coperto di tatuaggi, l’altro ha nove piercing, di cui sette solo sul viso, ha i capelli lunghi e i denti cariati. Sono loro che mi minacciano. Dicono che se non gli do i soldi mi accadrà qualcosa di brutto, ma io non voglio cedere. Ho cominciato invece a pensare di andarmene, ho già telefonato a Meg. Non voglio più stare qui. Ho lasciato la mia impronta nella storia e questo mi basta.
Ore 23:13
Basta, ho deciso. Me ne vado. Quei maledetti hanno rovinato il lavoro di una vita. Hanno rotto il mio lampione con un sasso. Sul sasso c’era scritto “È il nostro ultimo avvertimento”. Ma piuttosto che arrendermi preferisco andarmene, e dimenticare questa storia. Ho il volo prenotato per domani mattina. Addio, caro diario, ti abbandono qui, nella mia futura vecchia camera, con la speranza che, un giorno, qualcuno ti trovi e capisca che cosa ho passato.
Povera Angela. La sigaretta si spense. Harrison buttò il mozzicone fumante per terra e lo calpestò. Quel diario rappresentava un indizio più che consistente per identificare almeno due dei componenti della banda. Lo infilò sotto il cappotto e si diresse verso la porta. Spense la candela e la lasciò sul tavolo della cucina. Scese le scale e raggiunse il motorino. Guardò l’orologio: 22:59. Perfetto. Era ancora in tempo per raggiungere la centrale, depositare il diario al reparto identikit e tornare a casa in tempo per guardare l’ultima puntata della sua serie preferita.
Accese il motore, estraendo il walkie talkie dalla tasca. Un ultimo messaggio volò dall’altra parte della città mentre un lampo color ocra attraversava le vie silenziose di Los Angeles, accompagnato da un ronzio che si perdeva nella nebbia.
“Qui agente 76. Messaggio per reparto identikit. Ho del lavoro per voi! Sto rientrando in centrale. Per oggi è tutto. Passo e chiudo”.
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