mercoledì 16 novembre 2011

Il Gattopardo


Il Gattopardo è un romanzo scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa, pubblicato postumo nel 1958.
L'autore trasse ispirazione da vicende della sua antica famiglia e in particolare dalla vita del suo bisnonno, il Principe Giulio Fabrizio Tomasi di Lampedusa, vissuto negli anni cruciali del Risorgimento e noto anche per le sue ricerche astronomiche e per l'osservatorio astronomico da lui realizzato. Per il tema trattato è spesso considerato un romanzo storico, benché non ne soddisfi tutti i canoni.
Nel 1963 Luchino Visconti lo tradusse nel film omonimo.
Il titolo del romanzo ha l'origine nello stemma di famiglia dei Tomasi ed è così commentato nel romanzo stesso: «Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra.»
Trama 
Il racconto inizia con la recita del rosario in una stanza della casa del Principe di Salina, la casa gentilizia del Principe Fabrizio Salina, dove abitava con i sette figli e la moglie Maria Stella. Don Fabrizio era un personaggio particolare perché la sua vita era caratterizzata da continui pensieri d'amore e di morte, erano solite le sue scappatelle con le amanti alle quali la moglie reagiva con delle crisi isteriche. Egli è testimone del lento decadere in quel periodo del ceto dell'aristocrazia di cui è rappresentante. Infatti, con lo sbarco in Sicilia di Garibaldi e del suo esercito, si afferma una nuova classe, quella dei borghesi, che il principe come tutti gli aristocratici disprezza. Il nipote di don Fabrizio, Tancredi, pur combattendo nelle file garibaldine cerca di rassicurare lo zio sul fatto che alla fine le cose andranno a loro vantaggio. Tancredi inoltre aveva sempre mostrato interesse verso la figlia del principe, Concetta, che ricambiava i suoi sentimenti. Il principe e la sua famiglia trascorrono un po' di tempo nella loro residenza estiva a Donnafugata; lì il nuovo sindaco è Calogero Sedara, un uomo di modeste origini, un borghese. Non appena Tancredi vede Angelica, la figlia del sindaco, si innamora perdutamente di lei. La ragazza è però una borghese, e non ha perciò i modi degli aristocratici, per questo Concetta trova quasi ripugnante il suo comportamento. Angelica però ammalia tutti con la sua bellezza, tanto che Tancredi finirà per sposarla, attratto oltre che dalla bellezza anche dal suo denaro. Arriva il momento di votare per un importante plebiscito il cui esito decreterà o no l'annessione della Sicilia al regno italico, a quanti chiedano al principe un parere su cosa votare, il principe affranto dice di essere favorevole a questa entrata. I voti del plebiscito alla fine vengono comunque truccati dal sindaco Sedara, si arriva perciò all'annessione. Dopo questo un funzionario piemontese, il cavaliere Chevalley offre a don Fabrizio la carica di senatore del Regno d'Italia ma il principe rifiuta l'incarico in quanto egli si sente un vero e proprio aristocratico e non vuole sottomettersi alla caduta del suo tempo. Il principe ora conduce una vita desolata fino a quando muore in una stanza d'albergo, dimenticato da tutti, mentre torna da Napoli dove si era recato per delle visite mediche. Rimarranno solo le figlie del principe, ormai rassegnate ad una vita sfavorevole.


Il significato dell'opera
L'autore compie all'interno dell'opera un processo narrativo che è sia storico che attuale. Parlando di eventi passati, Tomasi di Lampedusa parla di eventi del tempo presente, ossia di uno spirito siciliano citato più volte come gattopardesco. Nel dialogo con Chevalley, il principe di Salina spiega ampiamente il suo spirito della sicilianità; egli lo spiega con un misto di cinica realtà e rassegnazione. Spiega che i cambiamenti avvenuti nell'isola più volte nel corso della storia, hanno adattato il popolo siciliano ad altri "invasori", senza tuttavia modificare dentro l'essenza e il carattere dei siciliani stessi. Così il presunto miglioramento apportato dal nuovo Regno d'Italia, appare al principe di Salina come un ennesimo mutamento senza contenuti, poiché ciò che non muta è l'orgoglio del siciliano stesso. Egli infatti vuole esprimere l'incoerente adattamento al nuovo, ma nel contempo l'incapacità vera di modificare se stessi, e quindi l'orgoglio innato dei siciliani.
In questa chiave egli legge tutte le spinte contrarie all'innovazione, le forme di resistenza mafiosa, la violenza dell'uomo, ma anche quella della natura.

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