domenica 27 novembre 2011

Suicidio Misterioso


Era un piovoso pomeriggio di novembre. Tania Wilson stava passeggiando per le noiose vie di Londra, sotto un ombrellino color cenere. Pensava alla lettera che le era arrivata pochi giorni prima da una sua cara amica. Il contenuto l’aveva davvero sconcertata.

15 Novembre 1980, Cardiff
Cara Tania,
Ti scrivo per informarti che sto per uccidermi. Non voglio che tu ti spaventi. Ho un buon motivo. Ma, vedi, non voglio dirtelo ora. Sarebbe troppo complicato da spiegare. Segui le istruzioni scritte nell’altro foglio e capirai tutto. Sei stata la migliore amica del mondo.
Con affetto, Olivia

Tania aveva paura. Ma qualcosa dentro di lei le diceva di andare avanti. Il foglio allegato alla lettera di Olivia diceva: “Prendi il treno delle 17:00 alla Railway Station. Il biglietto è nella busta”. Tania si sedette sulla panchina della stazione e aspettò, tenendo in mano il biglietto. Il nome della destinazione era stato cancellato. Preoccupata, si diresse verso il banco delle informazioni e chiese dove era diretto il treno delle 17:00. La signora rise.
“Mi dispiace, signorina, ma nessun treno passa alle 17:00. Il prossimo è alle 17:30”
Tania guardò l’orologio. Erano le 16:45 e un treno era appena partito. Sconcertata, ritornò alla panchina. Pensò di ritornare indietro e dimenticare questa storia, eppure, alle 17:00 in punto, un treno si fermò alla stazione. Era un treno nero, il cui fumo avvolse l’intera stazione. Di colpo, intorno a lei le persone scomparvero come fantasmi. Le porte del treno si aprirono, ma non uscì nessuno. Si udì il suono distante della campana e la voce del capostazione dire: “In carrozza! In carrozza!”. Eppure, Tania non lo vedeva. Deglutì e, senza pensarci troppo, salì svelta sul treno, entrando nel primo scompartimento che vide. La locomotiva fischiò e il treno partì, verso una meta sconosciuta.

Tania scostò le tende per vedere fuori dal finestrino, ma i vetri erano oscurati. La ragazza sospirò. Il suo cuore batteva a mille per la paura, ma oramai era troppo tardi per tornare indietro. Si appoggiò al sedile che, stranamente, era molto comodo, e osservò il vaso di papaveri sul tavolino davanti a sé. Benché quel treno fosse tremendamente spaventoso, doveva ammettere che l’arredamento era di un certo livello. Lo scompartimento in cui era entrata non era molto grande, ma l’atmosfera era piacevole. C’erano sei comodi sedili, un tavolino, un finestrino e un vaso di papaveri rossi. Stava quasi per appisolarsi, quando un uomo entrò nello scompartimento.
“Biglietto, prego”.
Tania lo osservò. Era un uomo robusto con addosso un uniforme blu. Il cappello gli oscurava il viso, conferendogli un’aria spettale. La ragazza gli porse il biglietto e lui lo pinzò.
“Si goda il viaggio...” aggiunse l’uomo, uscendo dallo scompartimento.
Tania avrebbe tanto voluto sapere dove stava andando quel treno. Ma non c’era bisogno di preoccuparsi troppo. Quel posto era così...rilassante....
.....
“....Ma....Dove sono? Che mi è successo?”
Il treno era fermo. Lo scompartimento era buio. Non c’era più la luce del sole che filtrava dal finestrino oscurato. Era notte. Si era addormentata. Ma come aveva fatto a non sentire il treno che si  fermava? Non era stato un sonno naturale. Il suo sguardo cadde sul vaso di papaveri. Ora capiva. Era stata colpa loro e del loro potere soporifero. Probabilmente erano stati messi lì apposta.

Tania recuperò il suo ombrello e scese dal treno, senza farselo ripetere due volte. Non era in una stazione. Era di fronte a un bar, in mezzo alla campagna. Quando si voltò, il treno non c’era più. Un brivido le percorse la schiena. Il foglio delle istruzioni di Olivia diceva solamente “Entra”. Tania si strinse nel suo impermeabile e respirò profondamente l’aria umida. Il bar era vuoto. Un pianista suonava malinconicamente e il barista puliva i bicchieri. Tania, incerta sul da farsi, consultò il foglio.

“Ordina un cappuccino”.

Mentre Tania era seduta al tavolo di fronte alla sua tazza fumante chiese al barista:
“Posso sapere dove mi trovo?”
“È talmente tanto tempo che sono rinchiuso qui a fare la stessa cosa che non mi ricordo più nemmeno io”
“Sa, non mi è d’aiuto”
“La vita è piena di delusioni”
Tania non disse più  niente. Sembrava che tutti si fossero messi d’accordo per farla rimanere all’oscuro di qualcosa. Era stato uno sbaglio partire. Quando finì il cappuccino, notò un particolare davvero strano. In fondo alla tazza c’era un foglietto ripiegato imbevuto di caffè. Tania lo prese e lo aprì.

“L’assassino giocava nel prato, il ragazzino saltellava beato, uno in mano aveva il coltello, l’altro aveva un fiore all’occhiello, il tramonto sorrideva, l’alba di sangue si tingeva”.

Il suo cuore perse un battito. Quella filastrocca gliela cantava sempre Olivia per farla spaventare. Quelle parole apparentemente senza senso nascondevano un significato crudele. Due amici improbabili, un assassino e un ragazzo, giocano in un prato, ancora bambini. Crescono insieme e, a un certo punto, il ragazzo decide di sposarsi e si prepara per il giorno dopo. Ma, mentre alla sera lui e l’assassino ridono e scherzano, all’alba del giorno delle nozze il ragazzo è morto, ucciso dall’amico.
Un orribile capogiro la travolse. Cosa significava tutto questo? Perché Olivia voleva farle fare questo spaventoso viaggio? Voleva farle capire qualcosa, sicuramente. Un pensiero raccapricciante le attraversò la mente, ma lei lo cacciò via, infilando il foglio bagnato di caffè in tasca e uscendo da quel posto che le faceva accapponare la pelle. Tania continuava a pensare che sarebbe dovuta restare a casa, insieme al suo gatto Napoleone. Che cosa l’aveva spinta a partire? Semplicemente voleva sapere perché l’amica si era uccisa. E l’indizio che aveva appena trovato non l’aveva aiutata a tranquillizzarsi. Si sentiva un macigno sullo stomaco. Il suo viso grondava sudore. Prese con mano tremante il foglio delle istruzioni e lesse il prossimo passo.

“Spero di averti aiutato a capire qualcosa....se vuoi tutta la verità, vai nel retro del bar e apri l’armadietto numero 018. Troverai cinque penny e un foglietto. Non leggere il foglietto. Aspetta fuori dal bar finché non si ferma un taxi. Dagli i cinque penny e mostragli il foglietto. Ti porterà nel luogo dove mi sono uccisa. E da lì dovrai cavartela da sola. Se hai troppa paura aspetta fino alle 23:00. Il treno ti riporterà a Londra.”

Il foglio terminava con queste parole. Tania accartocciò il foglio e lo gettò per terra. Di colpo la scrittura di Olivia le dava fastidio. Corse dietro al bar e aprì una porticina. Si ritrovò in una stanza che odorava di muffa, con cinque armadietti color verde militare allineati sulla sinistra. Tania cercò il numero 018 e lo aprì con facilità. Prese i cinque penny e il foglietto e uscì, aspettando il taxi che le avrebbe svelato la verità. Per un attimo fu tentata di rinunciare. Preferiva non sapere perché Olivia si era suicidata. Forse avrebbe dovuto ritornare a casa. Fece tintinnare i cinque penny nella mano. Il foglietto era impolverato, ripiegato moltissime volte. Senza che se ne accorgesse, il tempo passò alla velocità della luce, e il clacson del taxi la risvegliò dai suoi pensieri. Tania non sapeva cosa fare. Avrebbe tanto voluto porre fine a tutto, ma la curiosità era troppo forte. “So già che me ne pentirò”.

Il tassista aveva la stessa aria spettrale del controllore sul treno. Il cappello che portava gli oscurava il viso. Tania si sedette sul sedile posteriore e gli porse i cinque penny e il foglietto. Lui lo lesse, sorrise e partì. La campagna che scorreva nel finestrino le ricordava quella gallese, e questo fu l’unico fatto normale della giornata. Oliva abitava a Cardiff, quindi, se doveva essersi suicidata in un posto diverso da casa sua, non poteva essere molto lontano dalla città.
Il taxi si fermò davanti al cancello di una villa. Tania avrebbe voluto dire al tassista di tornare indietro, di riportarla a casa. Non voleva entrare lì dentro. Ma il taxi si allontanò prima che lei potesse parlare, lasciando una scia di polvere. Tania fece un lungo sospiro, si strinse nell’impermeabile ed entrò nel giardino della villa. Chissà perché Olivia aveva scelto un posto così per uccidersi. Sapeva che l’amica apparteneva a una famiglia di nobili origini e che quasi tutte le ville della campagna gallese erano di sua proprietà, ma non riusciva comunque a raccapezzarsi.
Le stanze della villa erano innumerevoli. Chissà in quale di quelle avrebbe trovato il corpo dell’amica. Giunse in una specie di sala da tè. C’erano cinque tavolini rotondi con una teiera e quattro tazzine ciascuno. Le tende gialle conferivano un’atmosfera molto inglese. Tania passeggiò nella stanza immaginandosi a bere un tè insieme alla regina, indossando un cappello stravagante, quando, di colpo, si bloccò con un’espressione inorridita sul volto. La sua amica Olivia giaceva sotto un tavolino con un coltello piantato nel ventre, in un lago di sangue.
Tania indietreggiò. Gli occhi le pizzicavano.
“....Perché l’hai fatto....Perché.....”
Un altro terribile capogiro la assalì. Si appoggiò a una sedia e si sedette. Voleva chiudere gli occhi, smettere di guardare, ma non riusciva a distogliere lo sguardo dal cadavere. Tania si sentiva male. Non voleva avvicinarsi a Olivia, ma dovette farlo, perché notò che le sue mani stringevano un foglietto. Tremando, lo prese e, piangendo, lo lesse.

“Eccoti qua, finalmente mi hai trovato. Devi volermi molto bene se sei arrivata fin qui. Ora posso dirti il perché del mio suicidio. Sai, è complicato. Non volevo scrivertelo nella lettera per un semplice motivo. Sapendolo, non saresti venuta fin qua, non avresti trovato il mio corpo, saresti rimasta a casa tua con Napoleone. Pensandoci, avresti potuto farlo lo stesso. Ma, conoscendoti, non l’avresti fatto. Infatti sei qua. Non voglio perdermi in chiacchiere, quindi ti spiego tutto. Sai, il colpevole è una persona che conosci molto bene.... Ti ricordi la filastrocca dell’assassino che ti faceva sempre spaventare? Beh, devo dire che in qualche strano modo mi sento come il ragazzo. E, toh, guarda che coincidenza, qualche anno fa mi è capitata la stessa cosa che è capitata a lui, più o meno. Non nel senso che sono stata uccisa, nel senso che Alvin ha chiesto di sposarmi. Lo conosci Alvin vero? È lo stesso ragazzo che, per uno strano motivo, mi ha lasciato il giorno prima del nostro matrimonio. Non che ci sia rimasta male. Poi, qualche settimana fa, ho scoperto finalmente il perché della sua improvvisa decisione. Una certa Tania Wilson lo aveva convinto a lasciarmi perché, secondo lei, non era l’uomo giusto per me. Una certa Tania Wilson ha dato retta ai capricci di sua sorella che voleva sposarlo, e, grazie a lei, c’è riuscita. Una certa Tania Wilson avrebbe dovuto pensare alla gioia della sua amica Olivia invece che all’invidia di sua sorella. Una certa Tania Wilson mi ha pugnalato alle spalle. Al solo pensiero che la mia migliore amica mi avesse fatto questo, non ho retto più. Non volevo più essere amica di una persona così falsa. Tutta la mia felicità è andata persa, e non vale più la pena di vivere nel dolore. Bene, addio, allora. Spero che tu ti senta in colpa.
Grazie, amica.”

Tania lasciò cadere il foglio. Si mise le mani sul viso e indietreggiò, spaventata.
“Sono....è colpa.....solo mia!!!”
Si mise a correre, cercando l’uscita, cercando la via per fuggire da quel luogo, cercando di tornare a casa sua. Le lacrime la rendevano cieca, correva senza sapere dove andava, seguiva la paura, i sensi di colpa la tormentavano. Si perse nel labirinto delle stanze, non riusciva a uscire dalla villa. Finché, improvvisamente, vide una luce provenire dal portone aperto. Corse verso il sole, ma i suoi passi erano sempre più pesanti, il portone si allontanava. La luce invase il corridoio e l’accecò....

DRRRRRRRRRRRRRRIIIIIIIIIIIINNNNNNN!!!!!!!!!!!!

Il trillo fastidioso pervase la mente di Tania. Il miagolio di Napoleone, la macchina del caffè che si attivava, un fringuello che cinguettava....
Tania aprì gli occhi. Era nella sua camera. Fuori aveva smesso di piovere. Era mattina.
Era stato un sogno. Solo un sogno. Non era mai salita su spaventosi treni, non aveva mai bevuto cappuccini in bar sperduti, non era mai entrata in ville paurose, ma, soprattutto, non aveva ricevuto nessuna lettera, non aveva nessuna sorella innamorata del marito di Olivia, e Olivia non si era suicidata per colpa sua. Tania rise. Incubi assurdi, capogiri, macigni sullo stomaco....chiari segni di un’indigestione. Napoleone continuava a miagolare.
“Sì, lo so, hai fame!” 

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