martedì 14 aprile 2015

Gli occhi di un bambino (Alice Antonucci)


E’ il giorno 10 novembre del 1996 ed io, Aurora Paretti, sono sdraiata sul mio comodo letto in camera mia. Sono le 6.00 di mattina e sono già sveglia per colpa del mio fratellino. Ha sei mesi, e di notte piange sempre, ogni notte, alle 3, sempre alle 3.

Sono sempre le 6.00 e il tempo sembra non passare. Guardo l’orologio e vedo che le lancette non avanzano. “Saranno le batterie” penso tra me e me. Allora scendo dal letto, salgo sulla scala, metto a posto l’orologio e quando sto per scendere mi squilla il telefono.

Scendo velocemente le scale, prendo il cellulare: “Anna”.

<<Perché Anna mi chiama a quest’ora?>>

Rispondo:                                                      

<<Auroraaaaaa>>

<<Calma, dimmi, che succede?>>

Perché non sei davanti a scuola?>>

…<Ma sono le 6 del mattino…>>

<<No cara, sono le 8.00>>

Attacco veloce la chiamata, mi vesto e inizio a correre verso la fermata.

Appena arrivo mi fermo per riprendere fiato, guardo l’ora: le 8.10; “Sono arrivata in tempo!” Penso.

Arriva il bus, salgo e mi vado a sedere. Dopo un po’ mi accorgo di essere vicino ad un ragazzo; mi giro e noto che, essendo nuovo, è bellissimo.

<<Ciao>> Gli dico, ma lui non risponde, allora decido di dargli una pacca sulla spalla.

Lui si gira di scatto e mi guarda storto. Lo vorrei distogliere lo sguardo, ma non ci riesco; mi sono innamorata di lui, ma soprattutto dei suoi bellissimi occhi verdi che si abbinano perfettamente a quelle lentiggini in faccia e a quei rossi capelli mossi.

Con una vocina melodica mi scuso <<Ciao, scusami per la pacca, ma non rispondevi e visto che sei nuovo, volevo fare amicizia con te!>>

Lui accetta le mie scuse, iniziamo a parlare e appena arriviamo a scuola lui mi chiede:

<<Ascolta Aurora…sei stata l’unica ragazza che mi si è avvicinata perché, sai, molte mi dicono che mi puzza l’alito…>>

Em… io purtroppo ho problemi con il naso, perché a due anni mi avevano operato al naso ed ora non sento più gli odori, neanche l’odore del cioccolato.

Visto che mi dispiace per lui ho fatto finta di niente, non ho voluto dirgli la verità, ma va bene così.

Un altro faticoso giorno di scuola è passato, ritorno a casa e trovo mia mamma che piange.

Le vado incontro, mi siedo vicino a lei e le chiedo.<< Mamma ma che succede? Ti vedo triste e…>> Non mi ha dato neanche il tempo di rispondere che mi tira un ceffone in faccia.

Io mi arrabbio e me ne vado in giardino, fregandomene di tutto e di tutti. DA lontano vedo un cane randagio, ho paura e incomincio ad urlare.

Mia mamma mi sente, scende, viene in giardino e mi da un altro schiaffo.

<<Scema!>> Le urlo, le tiro un pugno in faccia e lei cade a terra come una pera cotta.

Mene torno in casa piangendo.

Mi sdraio sul letto e guardo l’ora: le 3 di notte…

“Ma è impossibile” penso; è pomeriggio!

Sto per la terza volta per cambiare l’ora, ma sento mio fratello piangere, Per sbaglio faccio cadere l’orologio, cade e si rompe.

Vado a vedere mio fratello. Roby, che è steso per terra a pancia in giù e piange. Lo alzo, lo rimetto nel suo lettino e ritorno in camera mia, salgo sulle scale per togliere il chiodo e quando poggio il piede sull’ultimo gradino, la scala inizia a muoversi e dopo pochi secondi qualcuno mi spinge e mi butta a terra.

Mi sveglio con una musica bellissima, che mi fa rilassare, apro gli occhi emi trovo sdraiata su un lettino, con sopra una piccola lucina e intorno un flacone di flebo, con dentro del liquidi giallastro e un filo che prosegue fino al mio braccio.

<<Come stai?>> Mi chiede ad un tratto una signora vestita di bianco.

>>Sto bene, ma cosa è successo, perché sono in ospedale?>>

<<Sei caduta dalle scale, hai battuto forte la testa e ti abbiamo dovuto operare!>> Provo a sentire le parole che mi sta dicendo, ma non ci riesco; vedo tutto sfocato e sono molto confusa.

Mi alzo dal letto per andare da mia mamma, che è seduta in sala d’aspetto.

Prendo il flacone di flebo per portarlo con me e inizio a camminare…

Attraverso il corridoi e vedo cose che i miei occhi non avevano mai visto: c’erano persone anziane con la carrozzina, altre camminavano zoppe. Poi donne che sorridevano per l’arrivo di un nuovo individuo che potrebbe cambiare il mondo, ma anche donne che piangevano disperate sulla spalla di un uomo per non so cosa… e poi c’erano i bambini con quelle minuscole labbra sempre girate all’insù e quei minuscoli occhi spalancati, pieni di dolore e tristezza, ma che in fondo, in fondo nascondono più gioia e felicità di un bambino che incontri al parco giochi. E pur essendo pelati o andando in giro con la flebo, hanno sempre un sorriso stampato in faccia, che ti trasmettono allegria. Grazie a loro ho capito cosa voglio fare da grande.


Caro fratellino, questa lettere l’avrei voluta scrivere più avanti, ma non c’è l’ho fatta.

Volevo iniziare col dirti che sei fantastico ed io avrei voluto insegnarti molte cose, ma purtroppo non ci riesco.

Non so quanti anni avrai quando leggerai, ma voglio che tu sappia che ora io sono qui, sdraiata su un lettino bianco, con solo un camice addossi e mille aggeggi nel braccio. Un posto buoi, dove la luce penetra a malapena dalle persiane; un posto cove, grazie agli occhi di un bambino, puoi ritrovare la felicità!

Io ti consiglio di fare il medico da grande perché, fida...

 

FINE ALICE ANTONUCCI.

 

 

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