C’era una volta, in una terra sconosciuta, in un tempo
remoto, un piccolo villaggio incantato, abitato da creature magiche e
meravigliose. Il suo nome era Gromwich.
Gli abitanti erano gli esseri più bizzarri e svariati: abili
goblin maniscalchi e carpentieri, piccoli e sgraziati, ma dalle abilità manuali
sopraffine; buffi folletti, artisti di strada e giullari da sbellicarsi dalle
risate; dolci fatine dalle ali diafane, eccellenti maestre e bambinaie dal
cuore gentile; l’orco Sgrunt, il rubicondo, enorme e sempre allegro
proprietario della taverna locale; i piccoli draghi postini e gli enormi
portatori di merci; i laboriosi gnomi artigiani; i dispettosi troll, un po’
bulli alle volte, ma con un’anima gentile (in fondo); gli unicorni, addetti ai
trasporti via terra, e i volanti grifoni, per quelli via aria; i giganti, forti
e instancabili muratori; vampiri e licantropi, guardiani notturni dei quartieri
e dei boschi fuori dalle mura… E poi ancora maghi professori e bibliotecari,
custodi del sapere e delle scienze, eleganti elfi, nobili ed intelligenti,
guerrieri barbari, a difesa della città, gioiosi hobbit, contadini e ottimi
cuochi.
In questa pittoresca cittadina vivevano Dakota e Adelaide,
due giovani streghette, apprendiste alla scuola di magia. Dakota era alta e
magra, dai capelli ricci e rossi come il
fuoco e gli occhi azzurri come l’oceano, decisa, determinata e coraggiosa, testarda
come un mulo ma dolce come un bignè del famigerato Créme Pastissère, l’orco
pasticcere della città; Adelaide era minuta e dall’aspetto delicato, timida e
un po’ paurosa, aveva i capelli lisci e neri come la notte e gli occhi verdi
come le foglie a primavera. Le due ragazzine erano molto amiche e si
conoscevano fin da bambine, poiché appartenevano entrambe a famiglie nobili del
luogo.
In un uggioso pomeriggio di novembre, le due stavano
passeggiando nel bosco, alla ricerca di ingredienti per la lezione di alchimia,
quando ad un tratto sentirono uno strano rumore provenire da un cespuglio, come
se qualcuno vi fosse nascosto dentro. Improvvisamente, un enorme tigrente
volante piombò proprio davanti a loro! L’enorme creatura era quanto di più
spaventoso le due avessero mai visto nella loro breve vita: aveva il corpo di
una tigre, con striature di fuoco blu, possenti ali piumate e coda e denti di
serpente. Il mostro le acciuffò con le grandi zampe artigliate e spiccò il
volo. La malvagia creatura si librò su, in alto, sempre più in alto, fin sopra
il cielo, dove si trovavano i portali dimensionali; lasciò cadere Dakota nel
portale grigio, del dubbio, e Adelaide in quello nero, della paura.
Dakota si ritrovò immersa nella più totale oscurità.
Improvvisamente, una voce, un poco tremolante e vecchia come il tempo stesso,
la chiamò. “So chi sei, impulsiva fanciulla. Ascolta le mie parole: gli occhi
ti inganneranno, sii prudente, ragiona con calma e pazienza. Segui la giusta
voce”, le disse; nel profondo del suo cuore, lei sapeva che si trattava di un saggio
consiglio, proveniente da una creatura buona. Migliaia di voci iniziarono a
parlare, alcune urlando, altre sussurrando, accavallandosi l’una sull’altra;
con calma, Dakota si concentrò su quelle più basse e tranquille e iniziò a
seguire le direzioni da esse indicate. D’un tratto le voci cessarono e
comparvero dal nulla delle figure: i suoi genitori, il maestro, la cara amica
Adelaide… Tutti quanti la incitavano a seguirli, rassicurandola che si trattava
soltanto di uno spaventoso incubo. Anche se istintivamente avrebbe voluto
andare con loro, ricordò il consiglio della voce misteriosa e proseguì nella
direzione opposta; dopo alcuni passi, una luce accecante la investì e perse i
sensi.
Adelaide ruzzolò nel posto peggiore che potesse immaginare:
in mezzo a un’orda di uomini-scarafaggio. Lei odiava gli scarafaggi! La
legarono e la portarono nel loro lugubre castello, in una umida cella
ammuffita; una volta rimasta sola, la stessa vocina che aveva guidato la sua
amica le parlò: “ Sii coraggiosa, Adelaide. Supera le tue paure, affronta il re
e non farti abbattere”. La porta della prigione si aprì e lei uscì, decisa ad
affrontare le ripugnanti creature; sgusciò in mezzo alle guardie, che erano
accorse per riprenderla, così in fretta che le loro teste andarono a sbattere
le une contro le altre! Corse su per le scale e giunse nella camera del re
degli uomini-scarafaggio, che giaceva addormentato nel suo sudicio letto. Pian pianino si avvicinò
e, nonostante il ribrezzo che provava nel toccarlo, fece scivolare via dal suo
grande e peloso collo la catena a cui era appesa la chiave che le avrebbe
permesso di uscire dal castello. Scappò via come un fulmine, ben attenta a non
fare rumore, e aprì il lucchetto della porta principale del maniero. Una volta
fuori, cadde svenuta.
Quando le due ragazzine aprirono gli occhi, erano di nuovo
insieme, a Gromwich, ma niente era come prima: tutto era distrutto. Davanti ai
loro occhi, nient’altro che desolazione e cumuli di macerie. La saggia voce che
le aveva guidate parlò loro: “Tutto questo è opera di Malgoros, il dio
distruttore della dimensione nera del caos. Lui ha mandato il tigrente volante
da voi, nella speranza che rimaneste intrappolate nelle altre dimensioni. A
proposito, io sono Zia Muffa”. Questa volta poterono vedere anche a chi
apparteneva: si trattava di una piccola muffetta verde, che viveva nel tronco
di un albero; spiegò loro che era stata una grande e potente maga, ma era
diventata così vecchia da trasformarsi in muffa e da dimenticare persino il suo
nome; si era stabilita nella tranquillità del bosco, dove gli scoiattoli
avevano iniziato a chiamarla “Zia Muffa”.
Un terribile e assordante tuono annunciò l’arrivo del
malvagio Malgoros, il cui piano era distruggere tutte le dimensioni e regnare
sul caos assoluto; era davvero orribile: enorme, nero come la pece, con grandi
corna sulla testa e migliaia di denti aguzzi. Zia Muffa spiegò alle due
streghette che solo unendo i loro poteri, accresciuti grazie al superamento
delle prove affrontate, avrebbero potuto sconfiggerlo e far tornare la pace e
l’armonia a Gromwich. Dakota e Adelaide si presero per mano e, con calma e
senza paura, andarono incontro al demone. Una luce verde e viola si sprigionò
dai loro corpi e investì il maligno, che tra spaventose urla sparì per sempre
in una nube di polvere, che venne chiusa dentro una bottiglia magica e buttata
in fondo al pozzo più profondo.
Dal terreno crebbero nuovamente fiori e alberi, il villaggio,
i suoi abitanti e tutti gli animali ricomparvero, l’acqua tornò a scorrere in
fiumi e ruscelli. I giganti sollevarono le fanciulle e tutti iniziarono a
cantare con giubilo; venne organizzata una grande festa, tutti erano felici e
Crème Pastissère preparò tanti dolci di tutti i tipi. Da quel giorno in poi, la
pace regnò a Gromwich.
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